Irrilevanza di Prato (e della Piana)

I ballottaggi del giugno 2019, in molte città d’Italia, mettono ancora una volta in evidenza l’irrilevanza di Prato.
La città è senza dubbio la più popolosa tra quelle in cui si è reso necessario il turno di ballottaggio alle amministrative. Prato è tre volte più grande di Rovigo, Cremona e Potenza e quattro volte più grande di Vercelli, Avellino e Biella ed ha più popolazione e più elettori di Ferrara, Foggia, Reggio Emilia o Livorno.
Probabilmente è anche quella di maggior peso economico e quella nella quale il risultato elettorale ha maggior importanza politica.

Eppure negli articoli sui giornali, sulle infografiche e nei notiziari in TV Prato sembra assente o irrilevante, citata solo al margine e sempre in subordine a centri urbani molto più piccoli.
Questa irrilevanza di Prato non è affatto nuova e ha le sue radici nella stessa Toscana, dove ancora prevale l’immagine di piccola cittadina di provincia, poco diversa da Scandicci o da Quarrata.


“Non ho niente da dire di Prato, una piccola città dove ho dormito; una di quelle piccole città che si vedono solo perché bisogna passarci.” 

Così scrive, impietosamente, nel suo Viaggio in Italia il francese Gabriel-François Coyer. Nel 1763 visitò l’Italia, fino a Napoli, come precettore dei nipoti del duca di Turenne e pubblicò nel 1776 il suo diario di viaggio, pieno di osservazioni anche sulle condizioni economiche delle regioni attraversate.
Alla completa indifferenza per Prato nel libro seguono invece descrizioni molto interessate per Pistoia, che il viaggiatore raggiunse l’indomani del suo passaggio per Prato, e per Lucca, visitata nei giorni successivi.

Coyer era un prelato formato presso i gesuiti, vicino al pensiero illuminista e interessato ai temi del liberalismo economico, sui quali scrisse opere all’epoca molto conosciute. Il suo sprezzante giudizio su Prato non ci può lasciare indifferenti proprio perché costituisce la più chiara esemplificazione dello status irreversibile della città, dal Medioevo ad oggi.
Secoli passati a brigare per avere il titolo di “città” e non di “terra”, poi per avere la sede vescovile e, per ultimo, per avere la provincia. Tutto inutilmente: Prato sembra oggi irrilevante come sembrò all’abate illuminista del XVIII secolo.

Inutile il campanilismo; inutile rivendicare le glorie del passato industriale; inutile l’ente Provincia che ha prodotto solo isolamento. Inutile dire che Prato è la terza città per grandezza dell’Italia centrale, perché non è vero: Prato è solo una parte importante e centrale di una metropoli di oltre 1 milione di abitanti, una conurbazione caratterizzata dalla continuità urbana e dalla forte interazione sociale ed economica dei comuni della Piana, e oramai solo in parte di Firenze, capoluogo toscano. Una realtà che nessuno può negare anche in assenza di un Ente territoriale che la rappresenti.

Solo assumendo un ruolo centrale in tale area metropolitana, Prato troverà possibilità per il suo futuro. Non chiedendo riconoscimenti, ma facendo sentire la propria voce per tutte le questioni che riguardano il futuro della Piana, dalle infrastrutture mal progettate alle opere inutili e dannose,  dalla pianificazione sopracomunale alle previsioni sul Parco agricolo, dal mancato potenziamento dei trasporti pubblici alla gestione delle mega-partecipate che sottraggono potere decisionale non solo ai comuni ma a tutti i cittadini.

Prato deve lavorare con gli altri comuni per pretendere e ottenere un ente sovracomunale per l’intera Piana in cui Firenze, persa dietro un modello di sviluppo folle, non abbia il peso preponderante; deve produrre idee e non recriminazioni; deve correre in avanti e non guardare al passato; deve sottrarsi così al complesso di inferiorità che porta all’irrilevanza e all’isolamento.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

error

Enjoy this blog? Please spread the word :)